La Rete degli Spettatori si unisce in difesa del genere documentaristico

Condividiamo una lettera pubblicata e diffusa dalle maggiori associazioni di autori italiani in difesa del DOCUMENTARIO: genere bistrattato, penalizzato specialmente in Italia, nonostante sia il più innovativo e vitale.

al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano
al Sottosegretario di Stato per la cultura Lucia Borgonzoni
al Direttore della Direzione generale Cinema e audiovisivo Nicola Borrelli
al Direttore Generale della RAI Giampaolo Rossi
all’Amministratore Delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco
al Direttore di Rai Documentari Fabrizio Zappi
al Presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia
all’Amministratore Delegato di Cinecittà Nicola Maccanico

Gentilissimi e gentilissime,

con questa lettera, che intendiamo rendere pubblica, vogliamo richiamare l’attenzione su un paradosso che a nostro giudizio merita una riflessione e un confronto tra tutti coloro che hanno a cuore il cinema e l’audiovisivo del nostro paese.

Negli ultimi anni i documentari italiani hanno vinto prime serate in tv, ottenuto successi nelle sale cinematografiche e sulle piattaforme, grandi riconoscimenti nei festival nazionali e internazionali.

A fronte di questi innegabili successi, permane un atteggiamento di poca considerazione nei confronti del documentario da parte di importanti soggetti istituzionali italiani. Non ci riferiamo solo alla ridotta entità dei finanziamenti selettivi del MIC riservati al documentario ma anche al taglio degli investimenti sul documentario che ha subito Rai Cinema e alla drastica diminuzione delle produzioni interne dell’ex Istituto Luce, che pure hanno contribuito enormemente alla valorizzazione di un archivio unico al mondo, alla vigilia del centenario che lo classifica tra le istituzioni dell’audiovisivo più antiche d’Europa.

Il costo medio dei documentari italiani si aggira tra il 25% e il 50% del costo medio dei documentari europei. Basti pensare che il totale delle risorse annuali disponibili per il documentario tra Luce e Rai Cinema non arriva a 3 milioni di euro: una cifra che in altri paesi europei basterebbe a finanziare 5-6 documentari in tutto.

L’esiguità dei budget ha molte conseguenze: artistiche, professionali, umane. Avvilisce le possibilità di ricerca e di scrittura, spesso fasi a budget “zero”, eppure essenziali, perché lì si costruiscono originalità e profondità di personaggi e ambientazioni. Comprime i tempi di realizzazione e del montaggio, cruciali per un genere come il documentario, dove è proprio lo “scontro” con l’imprevedibilità del reale a donare quell’autenticità e quell’originalità che ne hanno assicurato il crescente successo in questi ultimi anni, nonostante budget 10-20 volte inferiori rispetto alla media dei lungometraggi di finzione.

Si dirà allora: ma se vantate i successi raggiunti dal documentario italiano, in fondo queste difficoltà non devono essere così gravi…

È qui che bisogna considerare invece le conseguenze di questo stato di cose su chi questo lavoro cerca di farlo al meglio, con passione. È un lavoro duro il nostro, lontano dai riflettori. I tempi di ricerca, scrittura, ripresa e montaggio di un documentario sono in genere molto più lunghi rispetto a un film di finzione: questo significa compensi bassi, per di più diluiti su periodi molto lunghi. Significa registi costretti a fare salti mortali per completare il proprio film. Significa molti sacrifici, molti lavori collaterali, quando non meramente alimentari, che distolgono dal proprio lavoro, e ovviamente rendono impossibile maturare una pensione. Visto che in questi ultimi tempi si è parlato di compensi eccessivi per i registi, è bene sapere che alcuni dei migliori documentaristi italiani hanno abbandonato il genere per la fatica e la frustrazione delle condizioni appena descritte.

La nostra non vuole essere una vuota polemica, ma un contributo a un confronto che ci sembra importante per la qualità della cultura italiana e per il ruolo essenziale che la conoscenza e il racconto del reale giocano in una democrazia evoluta. Di fronte a un mondo in cui la verità della rappresentazione è costantemente minacciata e travisata (pensiamo solo all’impatto sull’opinione pubblica delle fake news, dei deep fake e di altri interventi sempre più intrusivi prodotti dall’intelligenza artificiale) il documentario creativo propone un’indagine basata sul dialogo, sul confronto, sull’approfondimento, individua personaggi e testimonianze autorevoli, costruisce un racconto empatico e complesso del reale. Tutto questo lavoro si fonda su un impegno professionale e etico che ha un costo altissimo a livello umano, ma che è garanzia di una narrazione che tenta il più possibile di essere uno sguardo onesto sul reale: noi crediamo che ogni persona di buon senso conosca oggi l’immenso valore che questo semplice atto di testimonianza ha per la nostra democrazia.

I soci delle associazioni di categoria firmatarie di questa lettera chiedono un confronto urgente su questi temi, che non può limitarsi – com’è evidente – al problema dei budget, ma riguarda anche le linee editoriali e, più in generale, la strategia con cui impostare l’intervento pubblico a sostegno del documentario italiano per i prossimi anni.

Siamo convinti che l’attuale crisi di sistema potrebbe diventare l’opportunità per disegnare una nuova strategia per la produzione nazionale di documentari di alta qualità che sia fondata, oltre che sul sostegno del MiC, sulla collaborazione degli altri due principali soggetti pubblici chiamati a questa missione culturale e industriale: Cinecittà e Rai.

Immaginiamo che la produzione documentaristica di Cinecittà (ex Istituto Luce) possa riorganizzarsi per offrire un panorama diversificato per generi, approcci, tipi di pubblico: continuando a puntare come in passato sulla valorizzazione dei suoi straordinari materiali d’archivio ma proponendo anche nuovi format per la serialità; capace di valorizzare il racconto del reale, di divulgazione o d’autore, così come di promuovere progetti sperimentali, contaminazioni di linguaggi ed esordi coraggiosi.  Ma immaginiamo anche che questa produzione possa essere fin dall’inizio progettata insieme alla nostra televisione pubblica attraverso Rai Cinema e Rai Documentari e destinata, per esempio, oltre che ai canali generalisti, alla diffusione sui canali tematici e sulla piattaforma RaiPlay.

Un obiettivo che consideriamo come il primo necessario tassello di una strategia che punti alla valorizzazione di un genere cinematografico che – non ci stancheremo mai di ricordarlo – rappresenta un’eccellenza culturale riconosciuta nel mondo e che avrebbe bisogno solo di una visione a lungo termine e di un sistema stabile e virtuoso di finanziamento, sia per rafforzarsi internamente che per conquistare i mercati internazionali.

100autori, Doc/it, ANAC, AIR3

[Foto in copertina di Keagan Henman su Unsplash ]

Iscriviti

Articoli Correlati

A tutto schermo 2022 – Lo streaming in aiuto del cinema indipendente

Parte oggi la undicesima edizione di A TUTTO SCHERMO, la...

A tutto schermo 2022

È tempo di guardarci in faccia, noi che amiamo...