Tra il maggio 2009 e il 2010 diverse centinaia di migranti africani sono stati intercettati nel canale di Sicilia e respinti in Libia dalla marina militare e dalla guardia di finanza italiana; in seguito agli accordi tra Gheddafi e Berlusconi tutte le barche dei migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico, dove non esisteva alcun diritto di protezione e la polizia esercitava indisturbata varie forme di abusi e di violenze. Non si è mai potuto sapere ciò che realmente succedeva ai migranti durante i respingimenti, perché nessun giornalista era ammesso sulle navi e perché tutti i testimoni sono poi stati destinati alla detenzione in Libia. Nel marzo 2011 con lo scoppio della guerra in Libia, tutto è cambiato. Migliaia di migranti africani sono scappati e tra questi anche profughi etiopi, eritrei e somali che erano stati precedentemente vittime dei respingimenti italiani e che si sono rifugiati nel campo UNHCR di Shousha in Tunisia, dove li abbiamo incontrati. Nel documentario sono loro a raccontare in prima persona cosa vuol dire essere respinti; sono loro a descrivere esattamente cosa è accaduto su quelle navi. Sono quelle testimonianze dirette che ancora mancavano e che mettono in luce le violenze e le violazioni commesse dall’Italia ai danni di persone indifese, innocenti e in cerca di protezione. Una strategia politica che ha purtroppo goduto di un grande consenso nell’opinione pubblica italiana, ma per le quali l’Italia è stata recentemente condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani in seguito a un processo storico il cui svolgimento fa da cornice alle storie narrate nel documentario.
Dalla Scheda PDF di approfondimento
È un problema o, meglio, sono i mille problemi interlacciati, e non per questo non urgenti, che riguardano legislatori, testimoni, antropologi, giornalisti, affabulatori, filosofi, ma in modo più tragico e diretto gli interessati. Racconta la sorella Hermine che una volta Ludwig Wittgenstein la sorprese con una risposta: “Sei come uno che guarda fuori da una finestra chiusa, e non capisce gli strani movimenti di un passante. Chi è all’interno non può sapere che fuori infuria una tempesta, e che il passante sta solo facendo del suo meglio per reggersi in piedi”. Tutte le riflessioni e le sentenze legate al problema dell’emigrazione clandestina rischiano di sembrare vedute su un paesaggio cui mancano informazioni essenziali.
Dalle Note di regia
La regia del film segue lo stile del cinema-documentario partecipativo già sviluppato in altri nostri film (Come un uomo sulla terra e Il sangue verde): racconti in prima persona, con un forte coinvolgimento dei protagonisti nella costruzione del racconto, senza voce narrante esterna e con attenzione cinematografica all’estetica e alla fotografia dei luoghi in cui abbiamo incontrato i protagonisti: spazi di attesa, luoghi di geometrici silenzi, isole di deserto tunisino, campagne immobili del sud Italia.