Corpo celeste

Anno:
2011
Durata:
98

Sinossi

Marta ha tredici anni e, dopo dieci anni passati con la famiglia in Svizzera, è tornata a vivere nel profondo sud italiano, a Reggio Calabria, la città dov’è nata. Marta è esile, attenta, con un’andatura un po’ sbilenca e un’inquietudine che la fa assomigliare ad una creatura selvatica. Ma ha una grazia speciale, e mentre passa tra gli altri come una piccola fata guarda e sente tutto: non ricorda molto della sua infanzia a Reggio, la città è cresciuta senza nessun ordine, è per lei rumore, resti antichi accanto a palazzi ancora in costruzione e vento, un mare che si intravede vicino e sembra impossibile da raggiungere. Marta inizia subito a frequentare il corso di preparazione alla cresima, l’età è giusta, ed è anche, le ripetono tutti, un bel modo per farsi nuovi amici. Senza la cresima non ti puoi neanche sposare! Incontra così don Mario, prete indaffarato e distante che amministra la chiesa come una piccola azienda, e la catechista Santa, una signora un po’ buffa che guiderà i ragazzi verso la confermazione. In parrocchia si sta preparando una festa per l’arrivo di un nuovo Crocifisso Figurativo che dovrà sostituire quello stilizzato e fluorescente che poco piace ai parrocchiani. Nell’attesa della grande festa della parrocchia, Marta partecipa alle attività del catechismo, impara a memoria le formule del libro, canta “mi sintonizzo con Dio”. Ma capirà presto che altrove deve trovare la sua strada, non la via al di là del mondo, ma la via attraverso il mondo.

 

Trailer:
Artistic Cast:
Yle Vianello (Marta) Salvatore Cantalupo (Don Mario) Pasqualina Scuncia (Santa) Anita Caprioli (Rita) Renato Carpentieri (Don Lorenzo) e con (in ordine alfabetico) Monia Alfieri Licia Amodeo Maria Luisa De Crescenzo Gianni Federico Marcello Fonte Carmelo Giordano Paola Lavini Anna Scaglione Angelo Tronchese Maria Trunfio
Crew:
scritto e diretto da Alice Rohrwacher prodotto da Carlo Cresto-Dina e da Jacques Bidou Marianne Dumoulin Tiziana Soudani fotografia Hélène Louvart (afc) montaggio Marco Spoletini (amc) montaggio del suono Daniela Bassani Marzia Cordò premix e mix Riccardo Studer Hans Kunzi organizzatore generale Giorgio Gasparini scenografia Luca Servino costumi Loredana Buscemi una produzione TEMPESTA JBA Production AMKA Films Productions in collaborazione con RAI Cinema in coproduzione con Arte France Cinéma RSI Televisione Svizzera SRG SSR idée suisse con la partecipazione di Arte France Cineteca di Bologna con il contributo della Calabria Film Commission - Regione Calabria con il supporto del Programma MEDIA dell'Unione Europea Distribuzione italiana Cinecittà Luce direttore comunicazione Maria Carolina Terzi ufficio stampa Maria Antonietta Curione
Direction notes:
«... Le leggende e i testi scolastici parlavano dello spazio azzurro e dei corpi celesti come di un sovramondo. Agli abitanti della Terra essi aprivano tacitamente le grandi mappe dei sogni, svegliavano un confuso senso di colpevolezza. Mai avremmo conosciuto da vicino un corpo celeste! Non ne eravamo degni! Invece, su un corpo celeste collocato nello spazio viviamo anche noi: corpo celeste, o oggetto del sovramondo era anche la Terra, una volta sollevato quel cartellino col nome di pianeta Terra. Eravamo quel sovramondo.» Anna Maria Ortese, Corpo celeste «La via attraverso il mondo La scrittura di Corpo celeste è nata dall'incontro con Carlo Cresto-Dina, che ha prodotto il film. In quel periodo mi stavo occupando di documentari e montaggio, ero piena di domande sulla realtà e sulla visione ma non avevo mai pensato di scrivere un film. Carlo inaspettatamente mi chiamò, mi disse che era appena nata Tempesta e mi chiese se avevo voglia di scrivere (non disse esplicitamente "scrivere una sceneggiatura", forse per non spaventarmi). Decidemmo di non lavorare su un progetto già esistente o su una storia chiusa, ma di partire da un mondo, un contesto che secondo noi andavano indagati, e dopo diversi incontri e confronti io scelsi quello che forse meno mi riguardava ma più risvegliava la mia attenzione: la chiesa. Spalancai subito gli occhi, come avrei fatto per un documentario: ero a Reggio Calabria in quel periodo, quindi iniziai da lì, desiderosa di entrare dalla finestra più piccola e vicina alla vita di tutti i giorni, quella delle attività di parrocchia e del catechismo. Lezioni, riunioni, manuali come "Saranno testimoni" e "Katekismo 2000", quiz e giochi di socializzazione attraverso chiese così grandi e vuote che parevano palazzetti in cui correre. Iniziai a mettermi dei limiti, come regole di un gioco. I limiti erano quelli di un luogo, Reggio Calabria. Quelli di un tempo, contemporaneo. Quello di un mondo, la vita di una chiesa alla periferia d'Italia. Ma quale era il mio posto? Ero dentro quel mondo o non lo sarei mai stata? Aveva senso fingere un'appartenenza oppure dovevo dichiarare il mio stupore, la mia estraneità? Poi un giorno arrivò una delle prime vere emozioni visive del film, proprio dalla lettura di "Corpo celeste" di Anna Maria Ortese, anche se la storia di Marta non ha direttamente nulla a che fare con il suo libro. Nelle prime pagine del libro l'Ortese descrive il meraviglioso spaesamento dello scoprirsi abitanti di un corpo sospeso nello spazio, del tutto simile come incanto a quelle luci lontane che si vedono in cielo. Quelle parole all'improvviso mi sembrarono un segno e così comparve Marta: una creatura terrestre, un'adolescente che cammina attraverso una città sconosciuta, una ragazzina che deve cercare la sua via attraverso il mondo più che quella al di là del mondo. Da questa impressione è nata la storia di Marta come una piccola canzone. Marta a Reggio Calabria Marta è appena tornata a vivere in un luogo che non conosce, ma a cui in qualche modo appartiene: è la città di sua madre, Reggio Calabria, dove anche lei è nata. Il ritorno al sud è un fenomeno molto comune ultimamente, tanto che si può parlare di una sorta di "emigrazione di ritorno": abbandonate le prospettive di una vita migliore a nord, dove le fabbriche chiudono e il lavoro sparisce, molte famiglie hanno preferito rientrare alla terra d'origine, dove almeno possono essere aiutate e sostenute da parenti e amici. Ma a riceverla Marta non trova quei colori e quell'affetto comunitario che popolano i ricordi familiari, quanto piuttosto un'immensa periferia dove il senso di abbandono e solitudine sembrano amplificarsi. Palazzi in costruzione che si ripetono all’infinito e il mare, in fondo, una linea celeste e quasi irraggiungibile. Marta osserva tutto: è per me una piccola principessa senza regno, né piccola né grande, in bilico con i suoi passi storti e la sua voce scura in un corpo fragilissimo. Sotto casa di Marta c’è il letto di un fiume che a lei sembra come una cicatrice nel ventre della città: è lì che tutte le persone buttano le cose che non servono più per poterne avere altre. Sono molte le "fiumare" che tagliano la città, questi spazi larghi e quasi sempre asciutti che si spalancano all'improvviso tra le case. A guardarle bene quelle terre di nessuno appaiono piene di vita: spazzatura, resti di cose, ma anche giardini, orti segreti, baracche. È un posto in cui la natura si manifesta nella sua forza e nella sua contraddizione. Nella fiumara giocano dei bambini, lontanissimi, sono quasi dei punti all'orizzonte. Eppure le loro azioni microscopiche la affascinano più di quelle che dominano il suo primo piano quotidiano. Abitano un luogo magnetico e in continua trasformazione. Un luogo possibile per una come Marta. A tredici, quattordici anni, i giovani cattolici affrontano la cresima, cioè la "confermazione definitiva delle scelte cristiane". In quel momento devono quindi confermare la scelta fatta dai loro genitori, che hanno voluto battezzarli quand'erano appena neonati. È la prima presa di posizione spirituale che un ragazzo deve compiere nella sua vita. Mi piaceva raccontare questo momento perché spesso è una scelta che dipende da fattori molto disparati, come amicizie, parentele, e che poco riguardano una acquisita maturità spirituale. Anche gli zii di Marta, che la accolgono nel suo arrivo a Reggio Calabria, vedono nella cresima non tanto un rito di passaggio, quanto un ottimo modo per farsi degli amici, e anche togliersi di mezzo un pensiero: la cresima va fatta, altrimenti non ci si può neanche sposare! Marta inizia così a frequentare il corso di cresima: lì ci sono altri ragazzi come lei, ci sono le catechiste che con bontà d'animo inondano i cresimandi di giochi, attività e quiz a risposta multipla. C'è Santa, una signora buona ma inadeguata, forse un po' buffa, eppure tragica e per me stranamente bella. Ai ragazzi viene raccontato di un Gesù buono e lontano, un corpo santo: è quel Gesù che sorride dalla parete dell'aula, biondo con gli occhi azzurri e con tanti bambini intorno a sé; è quel Gesù che viene cantato in coro nella canzone "mi sintonizzo con Dio, è la frequenza giusta". La chiesa è anche il piccolo regno di don Mario, un personaggio ambiguo, perso nella rete delle relazioni e delle gerarchie. Don Mario vorrebbe andarsene: in fondo si annoia in quella chiesa piccola, tra catechisti che litigano e favori da organizzare. Immagina di avere un giorno una grande chiesa da gestire, diventare importante e poi chissà, magari diventare vescovo. Per fare questo vuole mostrarsi bravo, aiutare il politico che a sua volta potrà aiutarlo, e poi organizzare una cresima nuova, mai vista, spettacolare grazie all'arrivo del "crocifisso figurativo"! Il crocifisso figurativo Questa storia è accaduta veramente e mi fece molto ridere e riflettere quando la lessi su un piccolo giornale locale: in un paese del sud i fedeli avevano fatto una raccolta di firme per chiedere di sostituire un crocifisso troppo "moderno" con uno normale, in cui si vedesse il corpo di Gesù. Un "crocifisso figurativo", appunto. Che confusione! Da una parte c'è lo sforzo un po' goffo di imitare la modernità, di presentarsi aggiornati per portare più giovani in chiesa. Così si inventano crocifissi di neon, canzoni di rap religioso, giochi a premi che si chiamano "Chi vuole essere cresimato " riprendendo più note trasmissioni televisive. Ma al tempo stesso, assieme a quest'onda di modernità, si invoca un ritorno all'antico, alla tradizione! Don Mario che pensa di trasformare in un "grande evento" la semplice sostituzione di un crocifisso, esprime per me tutta la tenerezza di un disagio, l'invenzione della tradizione completamente sradicata dalla Parola, la "nuova moda del vecchio" che in anima come una febbre la nostra epoca. Ma dove trovare un crocifisso figurativo quando non si hanno molte risorse economiche? Don Mario ha un'idea: andarsi a prendere il crocifisso nel suo paese d'origine, vicino Reggio Calabria, che ormai è abbandonato quindi quella croce non serve più a nessuno. Il villaggio abbandonato Roghudi appartiene a una costellazione di paesi dell’area Jonica calabrese che tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, nella febbre del cemento e nel giro di soldi della ricostruzione, sono stati repentinamente abbandonati. Non ha niente di rassicurante, è un paese incastrato tra le pietre, né nuovo né vecchio, senza più nessuno. Ma è a Roghudi che un vecchio prete solitario per la prima volta leggerà a Marta il Vangelo aprendole un nuovo spazio di riflessione: il vecchio le descrive Gesù non tanto come un santo dolce e buono, irraggiungibile nella sua perfezione celeste, ma come un uomo solo e furioso, più simile alla ferita della sua adolescenza che all'immagine edulcorata che si affaccia nei disegni del catechismo. Marta decide che non è necessario andare tanto lontano, perché come ci dice Anna Maria Ortese, il Corpo Celeste, il sovramondo è già qui.» Alice Rohrwacher, febbraio 2011

Selezione film

La rete degli spettatori porta film di qualità nelle sale e nelle scuole, facendo incontrare il pubblico con registi, sceneggiatori e attori.