Tre vitelloni napoletani in vacanza a Positano: Mimì incontra la milanese Giuli, con la voglia di divertirsi senza impegnarsi mai; Giugiù cerca in modo goffo di far vincere il gallismo partenopeo; Scisciò, invece, dopo una vita da nulla facente, decide di mettere la testa a posto e di cercarsi un lavoro. Con la fine dell’estate, ognuno tornerà alla propria vita, ai propri problemi, alle proprie speranze.
Note a margine
Antesignano dei molti film balneari che dagli anni ’60 hanno percorso la commedia italiana fino ai giorni nostri, Leoni al sole è l’esordio di Caprioli come regista che in modo bonario s’ispira ai Vitelloni di Fellini per realizzarne una sorta di versione leggera e solare. Vagamente ispirato dal romanzo Ferito a morte di Raffaele La Capria (premio Strega nello stesso anno), che collabora alla sceneggiatura con Caprioli, il film è un ritratto della media borghesia campana, rappresentata nei suoi luoghi di svago, nell’ambiente in cui palesare i difetti che la vita pubblica del resto dell’anno occulta, soprattutto nel rivendicare un certo maschilismo – o per meglio dire machismo – e indolenza, in contrasto con l’etica del lavoro e della famiglia socialmente accettate, stemperando il cinismo e l’amarezza di fondo con tocchi più sorridenti e con le caratterizzazioni ironiche dei personaggi. Fotografato in scintillanti colori da Carlo di Palma e impreziosito dalla canzone Giochi d’ombre cantata da Mina, Leoni al sole (il cui titolo di lavorazione era Leoni a giugno) passò quasi inosservato all’uscita e fu riscoperto e rivalutato grazie al restauro della Cineteca Nazionale di Roma, che lo ha presentato alla Mostra di Venezia del 2008.